I passascafi sono uno dei punti critici delle imbarcazioni, una rottura o una infiltrazione copiosa da uno di questi “fori” può portare anche all’affondamento. D’altronde per permettere uno scambio di acqua fra l’interno della barca e il mare, e con questo anche il corretto funzionamento di molte delle apparecchiature di bordo, non abbiamo altra scelta che installare dei passascafi.

Col susseguirsi delle stagioni e degli armatori, le esigenze e le strumentazioni di bordo cambiano, così ci possiamo ritrovare con dei passascafi che non sono più utilizzati: che fare? In teoria la cosa più saggia sarebbe rimuovere tutto e “tappare” il foro la prima volta che aliamo la barca, in fin dei conti si tratta di un buco nello scafo che un giorno potrebbe darci dei grattacapi.

Se il nostro scafo è in vetroresina e decidiamo di toglierci il pensiero , dobbiamo provvedere a tappare il foro laminando ex novo. Quello che comunemente chiamiamo vetroresina è uno stratificato di fibre di vetro e resina. Le fibre donano rigidezza e resistenza, la resina fa si che il tutto stia insieme. Nella cantieristica vengono utilizzati vari di tipi di fibre e vari tipi di resina. Senza addentrarci troppo nello specifico, le fibre più utilizzate sono quelle di vetro, ma nel panorama nautico si trovano molti scafi che al loro interno hanno fibre aramidiche (Kevlar), le quali donano maggior rigidità e soprattutto maggiore resistenza al taglio e all’abrasione dello stratificato. Inoltre negli ultimi decenni si sono fatte strada le fibre di carbonio, con le quali possiamo creare laminati estremamente leggeri e rigidi allo stesso tempo.

Per facilitare la fase di laminazione le fibre vengono arrangiate in tessuti. Sul mercato i più comuni sono i mat (categorizzati come tessuti non tessuti) e i tessuti multi assiali. Nei mat le fibre sono corte e orientate in ogni direzione. Nei tessuti multi assiali le fibre sono lunghe e orientate secondo direttrici ben precise. Questo permette di orientare le fibre lungo gli assi di maggiore sollecitazione, ottenendo laminati più performanti. Le resine più utilizzate nel comparto nautico sono tre: la poliestere, la vinilestere e l’epossidica.

La stragrande maggioranza delle barche che navigano sono state stratificate con resina poliestere, poiché è la più economica e facile da lavorare su stampate importanti. La resina vinilestere ha caratteristiche molto simili alla precedente, ma presenta una maggiore impermeabilità all’acqua, per cui a volte viene usata nei primi strati per migliorare la resistenza all’osmosi, meno comunemente per l’intera laminazione. La resina epossidica è la più cara, ma ha le migliori caratteristiche meccaniche, ritira meno durante la catalizzazione e inoltre ha un maggior potere adesivo, per cui è la più indicata per le riparazioni. Infatti dobbiamo tener presente che durante la stratificazione si sovrappongono strati di fibre imbibite di resina in un tempo inferiore al tempo di catalizzazione della stessa, per cui si creano legami chimici molto forti fra le molecole della resina.

Quando invece andiamo a riparare un laminato, ci troviamo di fronte a resina già catalizzata, per cui il potere adesivo della resina che andremo a sovrapporre è determinante per la riuscita della riparazione. Le resine sono un prodotto bi-componente: il rapporto di miscelazione in peso o in volume è indicato nelle specifiche tecniche. Per cui ci dobbiamo organizzare con dei dosatori volumetrici (delle pompette tipo quelle dei flaconi di sapone) o con una buona bilancia. I dosatori sono molto comodi quando la quantità di resina che vogliamo miscelare è ridotta, per grandi quantità invece è più comodo l’utilizzo di una bilancia. Fatta quindi la premessa sui materiali, torniamo al nostro progetto di tappare il foro di un passascafo su una barca in vetroresina, useremo resina epossidica e tessuto biassiale adatto per l’utilizzo con tale resina.

Di seguito una serie di immagini esemplificative.

Presa a mare correttamente installata, con piastra di rinforzo e senza segni di corrosione. Questa presa a mare da diversi anni non veniva più utilizzata, per cui abbiamo deciso di rimuoverla.

Una volta rimosso il passa scafo, ci aiuteremo con degli scalpelli per scollare la piastra di compensato dalla vetroresina. Operazione non sempre facile, in quanto i sigillanti poliuretanici con cui viene guarnito la presa a mare hanno un forte potere adesivo.

Con carta vetrata a grana grossa 40/60 asportiamo il gelcoat e la vetroresina creando una buona superfice vergine su cui poter stratificare.

Presa a mare rimossa. Lo scafo, dall’interno, è stato carteggiato e preparato per la laminazione.
Foro della presa a mare sulla parte esterna dello scafo.

Dopo aver pulito accuratamente e sgrassato con acetone, siamo pronti per laminare, operazione facile, ma che va preparata con cura; una volta che abbiamo le mani in “pasta”, sporche di resina, dobbiamo avere tutto a portata di mano, per evitare di perdere tempo e di imbrattare di resina attrezzi e ancor peggio la barca.
Inoltre possiamo rivestire di nylon le zone limitrofi all’area dove andremo a lavorare, in questo modo anche un accidentale sversamento non si tramuterà in un disastro.
Consiglio inoltre di allestire un banco di lavoro ricoperto di nylon, materiale su cui la resina epossidica non aderisce. Su questo tavolo avremo i recipienti di resina e catalizzatore coi relativi dosatori, un contenitore dove con l’ausilio di un mestolo possiamo miscelare i due componenti della resina, i vari dischi di fibra di vetro ritagliati dal tessuto e che andremo a laminare, pennello con le setole corte per imbibire la fibra di vetro di resina e infine un rullo frangibolle. Su questo tavolo una volta miscelata la resina, con l’ausilio del pennello possiamo imbibire i dischi di fibra di vetro con la giusta quantità di resina, poter eseguire questa operazione su un piano agevola le operazione di resinatura e soprattutto sarà più facile fare un lavoro pulito!

Dosatori per resina: il rapporta di miscelazione può cambiare da resina a resina, per cui bisogna verificare che i dosatori siano adatti alla resina che stiamo utilizzando. In alternativa possiamo prendere due dosatori uguali, con questi contando i volumi (quante volte azioniamo la pompa) possiamo ottenere il rapporto di miscelazione indicato nelle specifiche tecniche.

Posizionamento del primo strato di tessuto.

Aggiungendo dischetti di fibra di vetro via via di diametro inferiore andiamo a ricreare uno stratificato dello stesso spessore del laminato dello scafo, sia dal lato entrobordo che fuoribordo.

Stratificato ricoperto con un foglio di nylon.

Con l’aiuto del frangibolle siamo in grado di rimuovere le eventuali bolle d’aria che si possono intrappolare fra un foglio e l’altro. Durante questa operazione applichiamo una forte pressione al laminato ancora fresco, che tenderà a scivolare dentro il foro, per cui dobbiamo organizzarci per evitare che ciò accada, per esempio con l’ausilio di un aiutante che tamponi dalla parte opposta alla quale stiamo lavorando, munito di guanti e di un pezzo di nylon.
Per ottenere una superficie più liscia ed evitare che dello sporco si possa depositare sullo stratificato fresco, lo possiamo coprire con del peel-ply o del semplice nylon come si vede nella foto .

Una volta che la resina ha finito di catalizzare procediamo con una carteggiatura.

Carteggiatura
Stuccatura.

Ed eventuale stuccatura. A questo punto abbiamo ripristinato l’integrità dello scafo. Seguirà un’altra carteggiatura di rifinitura e infine tratteremo questa zona come il resto dell’opera viva.

Nella parte interna possiamo preoccuparci meno della finitura e procedere direttamente con una verniciatura del nuovo laminato.

Come abbiamo potuto vedere grazie alle immagini, tappare un foro nel nostro scafo è un lavoro che richiede un po’ di tempo e un po’ preparazione, ma la soddisfazione di navigare con una possibile via d’acqua in meno…non ha prezzo!

Per ulteriori approfondimenti vi consigliamo questo link dove è possibile scaricare una semplice e chiara guida sulla riparazione e mantenimento delle barche in vetroresina. Scarica qui!