Carlo Sciarrelli diceva che andare a vela è sommessamente bello, ma è fuori tempo come girare per una metropoli a cavallo. Un paradosso appunto, sul quale spesso mi viene da riflettere, e anche un pò sorridere.
E’ un dato di fatto che da quando il motore ha fatto la comparsa sulle barche e sulle navi da lavoro e militari, la vela è praticamente scomparsa, relegata solo ad una dimensione sportiva o amatoriale. Non è difficile capire perché: è faticosa, lenta e quasi mai ti permette di andare nella direzione e nei tempi desiderati. Ma forse, e dico forse, non è proprio questo il bello e ciò che cerchiamo nella navigazione a vela? Noi diportisti non abbiamo un carico da consegnare o del pesce da catturare, ma ci regaliamo il tempo e assecondiamo la nostra inclinazione di giocare con vento e vele. Abituati a vivere in città, dove tutto è stato pensato a misura d’uomo, dove gli spostamenti sono calcolati al minuto, poter viaggiare, sapendo quando si parte ma senza sapere quando si arriva, ha un fascino tutto suo. Doversi guadagnare la meta, miglia dopo miglia, regolando le vele, studiando il meteo per individuare la rotta migliore, imparando a gestire la barca e le sue attrezzature, non è certo banale, ma una volta arrivati a destino la soddisfazione e le emozioni che la navigazione ci ha regalato ripagano di tutti gli sforzi.
Chiaramente non tutti si dilettano a navigare su barche di legno spinte da vele di canapa. Tanti, la maggior parte, vogliono andar per mare con mezzi più moderni, comodi, e, soprattutto, sempre più performanti, quindi via libera alla modernità e alla tecnologia! Ed è proprio qua che sta il paradosso: da una parte amiamo andare in giro con un mezzo per sua natura antiquato (antico?), dall’altra utilizziamo gli ultimi ritrovati della tecnologia per farlo nella maniera più comoda, efficiente e sicura possibile. Per ritornare a Sciarrelli e al suo parallelo, ci ritroviamo a girare per una metropoli, si a cavallo, ma con gli zoccoli di carbonio, le briglie in Dyneema, il PLC che monitora i parametri vitali del cavallo ed un navigatore di ultima generazione. Insomma cerchiamo di rendere il più efficiente possibile uno dei mezzi di locomozione più antico al mondo.
Medito tutto questo mentre stiamo navigando tra le Canarie e Capo Verde. Salpati da Barcellona due settimane fa, ci siamo dovuti fermare 5 giorni a Cartagena per lasciare sfogare il ponente, prima di riprendere la marcia verso Antigua. Adesso sono di guardia e sto guardando la traccia che abbiamo lasciato sul plotter: sembra disegnata da qualcuno che non abbia la minima idea di dove voglia andare. In realtà, ad un occhio esperto, risulta evidente che abbiamo tirato bordi di bolina e bordi di lasco, scegliendo di navigare vicino alla costa marocchina per evitare i venti da sud, e che ci siamo avvicinati alla costa del Sahara occidentale per sfruttare la rotazione dei venti. Chi è abituato a navigare sa che questa traccia non è poi così casuale: è il frutto di ore di studio dei grib files, generati da complessi modelli matematici elaborati da macchine di calcolo di ultimo grido, che noi possiamo scaricare grazie alla tecnologia satellitare e che interpretiamo per scegliere la rotta, facendoci aiutare da software di weather routing. Insomma tutto questo mi fa riflettere sul paradosso di questa nostra passione così bella e che ci porta ad attraversare gli oceani nel silenzio, spinti dalla forza del vento, ma che richiede dedizione, conoscenza e, come ho appena raccontato, tanta moderna tecnologia!